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giovedì 22 ottobre 2015

L'arrivo ad Amman: visti, sviste e tabbouleh.


Arrivai ad Amman in un orario improbabile, ben oltre la mezzanotte, dopo due noiosissimi scali. Una volta arrivata nella zona visti del mio caro Queen Alia Airport, appresi con metodo galileiano, reiterando l'esperimento più e più volte con crescente disperazione, come tutti gli sporteli ATM dell' area dogana fossero non-funzionanti.
Chissà perchè, mai come quando si è in viaggio si capisce quanto la gestione efficacie delle nostre vite sia ormai in mano a processi tecnologici automatizzati, che spesso si ribellano, lasciandoci inermi di fronte all'ingestibile. Ciò succede sopratutto quando siamo in terre straniere, quindi non c'è altra spiegazione: i processi tecnologici automatizzati sono razzisti e xenofobi!
Inoltre, appunto, sono ingestibili. Scoppia una gomma, la cambio; mi si scolla la suola della scarpa (per me in viaggio è una costante), la reincollo; non funziona l'atm, arrenditi, hai perso! Passerai tutta la notte guardando gli altri turisti felici entrare nel Paese e aspettando che qualcuno, al di là del controllo passaporti, si metta a giocare con un aeroplanino di carta fatto di una banconota da 20 JOD che precipiterà poi, forse, nelle tue vicinanze e con cui acquisterai il visto anche tu; ipotesi improbabile.
Contanti, come già detto, non ne avevo, e anzi non vedevo l'ora di essere in Giordania per riprovare il brivido di ritirare. Ma...non era destino. E per essere libera di entrare ad Amman mi servivano 20 JOD, tassativamente in contanti!
La situazione, apparentemente irrisolvibile, mi creò un quarto d'ora davvero complicato.
Non potendo nemmeno chiamare Hesham, che mi aspettava fuori, essendomi impossibile ricaricare la scheda del telefono locale, mi sentii per dei buoni attimi di nuovo su quella canoa precolombiana bucata in cui navigavo cotidie in Oman, solo che qui non ero più in un mare di guano, ma in un circoscrittissimo laghetto da cui parevo non potermene nemmeno uscire.
Cercai quindi la soluzione alternativa.
Quello che ho imparato  nei miei viaggi in Medio Oriente è che c'è sempre un problema, un disguido, qualcosa che non funziona come dovrebbe, ma c'è anche SEMPRE una soluzione alternativa. Quindi ora l'avrei trovata.
Notai che i banchi del check erano dotati di terminale POS: la soluzione questa volta era particolarmente semplice, visto che la mia carta aveva almeno il chip funzionante!
Eppure poneva una complicazione, perchè tale scoperta contraddiceva l'ufficiale dictat del pagare in contanti. Di certo non potevo esordire in modo diretto con "hey tu, vestito di verdolino col cappellino che ti fa buffo, cos'è quell'aggeggio che sta sotto al tuo naso, e prima hai fatto reiteratamente finta di non vedere nonostante ti spiegassi il mio empasse?!". Per lo meno non con l' ufficiale di frontiera.
Inoltre cartelli ovunque dicevano occorresse valuta contante. Probabilmente il misterioso fenomeno si spiegava in un baracchino tutto illuminato con la scritta intermittente"change" e commissioni altissime. Il suo guadagno era tutto e la mia disperazione nulla!

Baracchino o no, una ragione terribile  li costringeva a lasciare una povera ragazza in quel più che palese stato di panico (e prigionia). Una ragione terribile, arcana, mitologica, ma sopratutto...segretissima.

Vabbè insomma, decido di giocare il jolly: come altre volte accadde e sempre accadrà, faccio la parte della povera donna sola disperata che sta per piangere. Visto il mio livello di dignità bassissimo, commossi, si sentirono autorizzati a scendere un pochino di livello anche i lor signori distinti poliziotti di frontiera e finalmente concedermi di pagare con il POS.
Come sospettavo, perchè questo pattern l'ho ritrovato più volte, una delle ragioni misteriose per fingere di non poter pagare con la carta, forse anche l'unica, chissà, era questa: pagare con il POS richiedeva di saper utilizzare il POS. Tautologico.
D'altronde capisco anche il timore reverenziale ed il sospetto degli ufficiali giordani nei confronti del terminale POS, con tutte quelle sue lucine colorate intermittenti, che ricordavano un po' un UFO..atterrato un giorno per caso sulla loro scrivania.
Fortuna che in due è tutto più facile ed in tre anche di più. Così, facendoci coraggio a vicenda, affrontiamo insieme questo incontro ravvicinato del 3° tipo con 'la cosa'. Tre menti e dodici mani, ed è fatta: posso finalmente entrare in Giordania!

Al momento della stampa del visto sul mio passaporto, purtroppo, i sogni romantici di uno degli ufficiali presenti nel summit per risolvere il problema del POS vennero infranti nel leggere la mia data di nascita. L'ho capito quando l'amico gli ha detto "mi dispiace, è troppo grande per te".
Restai in ogni caso lusingata dal sapere che anche in Giordania li facevo tutti fessi sull'età e continuai a fingere di non capire cosa si stessero dicendo, salutandoli e respirando finalmente il profumo della libertà.

Finalmente quindi, trovo Hesham, ed inizia la vacanza.
Ci dirigiamo in macchina verso il centro città, ed Amman è una città bellissima.

Con le sue casette a cubetto arroccate sui suoi sette colli, e la storia che fa capolino da ogni dove e da ogni epoca (romana, bizantina, islamica e...quella indefinibile odierna...chiamiamola oggiqua per darci un tono). Il traffico indiavolato, che a noi italiani farà pensare a Napoli, anche per chi a Napoli non ci è mai stato, ma comunque subisce il fascino dei luoghi comuni -brrrr....come mi piacciono. E le strade che si snodano di notte, come serpenti maculati dai fari delle auto, con uno strisciante brusio. Le strade di Amman sono dirette nel loro corso, ad ogni curva, da qualcosa che rimane di ogni suo passato; si snodano tra le vestigia vive di ogni tempo, risvegliate dalle luci di oggi.
E così si susseguono, senza che nulla sfugga, le moschee, l'anfiteatro romano, i souq, la cittadella e, più in là, gli oggiqui mall.



Chissà perchè, come arrivo in Medioriente mi sento viva anch'io, brulico anch'io sotto pelle, come le strade, le auto, le mille casette su cui rimbalza lo sguardo a cercare un punto di appoggio che non c'è, in tanta omogeneità tra di esse e col paesaggio che le domina.
E la musica, i profumi, gli odori, le bancarelle che vendono cibo in strada...le gente che mangia camminando. Li vedo e sento il gusto croccante delle falafel tra i denti.
Mi sono innamorata di questi Paesi così, finendoci dentro per caso.
Un giorno ho saputo che esisteva una parola araba per indicare il luogo in cui si era trascorso del tempo in passato, vissuto, e dove ora non rimane niente se non un ricordo di un momento, magari felice. Allora mi sono sentita che qualcosa doveva essere rimasto in questa cultura, che valesse la pena di farci un saltino pur senza sapere bene cosa stessi cercando. Di andarci così, in questo modo, senza bene sapere. E poi, semplicemente, non sono più riuscita a smettere.


Coffe shop a Wadi Musa
Dabkah, musica tradizionale dei paesi dello Shami

اطلال, Atlal...la parola di cui mi sono innamorata che vi dicevo.











Beh...torniamo con Hesham...sono passate le due da un pezzo e occorre trovare un locale per la cena.
Hesham è costretto, suo malgrado, ad assecondare la mia brama di hummus e portarmi in un ristorante della downtown. Saliamo le scale zig-zagando con maestria tra sputi e cose che non si vogliono accertare, e raggiungiamo la zona cena. Prendiamo posto accanto ad un tavolo composto da alcuni uomini e da due prostitute, che, sottolineo, si vestono come le ragazze di qui quando escono per la pizzata con le amiche. Fatti loro. Quelli fuori luogo eravamo noi, perchè in fondo erano le due del mattino passate.
Chettelodicoafare, mangiamo, come se non ci fosse un domani, tutto ciò che più amo. Non perdo l'occasione, come sempre, di sottolineare come il mio tabbouleh sia migliore, esponendo i miei calcoli alchemici sulle percentuali corrette del prezzemolo, e vantando attestati e riconoscimenti internazionali di prestigiosi enti dai nomi impronunciabili, che si perdono tra uno starnuto e tre colpi di tosse, e infine, verso le quattro arrivo in albergo.

Aspetto che Hesham arrivi a casa e mi scriva per addormentarmi, e ricevo un messaggio che mi lascia terrorizzata al buio in questa stanza sconosciuta in qualche posto della downtown, e che recita così:

"allora domani alle 08.00 ti passo a prendere così andiamo a Jerash la mattina col vento favorevole e il sole basso,...poi....pranzo dai miei...poi....poi....poi....e la sera...il giorno dopo....".

Hesham, gentilissimo premurosissimo Hesham, ti suonerà strano, e suona strano anche a me, ma io in Giordania per ora, ci sono venuta solo per dormire e lavarmi i capelli.

Buonanotte e che sia lunga, finalmente.  Ti chiamo io quando ho i capelli puliti.



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