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mercoledì 28 ottobre 2015

Le mie giornate mescolando caffè.

Il rientro fu come segue:

mentre il mio unico amico omanita mi portava in ufficio sul suo taxi, dopo una notte passata insonne cambiando tre voli, ricevevo un sms da MrC. Senza giri di parole, ma con aulici voli pindarici di ingiurie, denotanti una fantasia degna dell'invidia di Publio Ovidio Nasone, mi informava che il povero Carl, di cui vi parlerò, mi aspettava da ore all'aeroporto, qui inviato da lui per raccattarmi ad un randomico orario selezionato dal sacchetto della tombola, e senza avvertirmene, mentre io mi ero già organizzata con Saif. Inoltre mi dava nota del fatto che tutte le mie cose erano state da lui reimpacchettate -immagino la cura- nelle mie valigie e mi attendevano in ufficio, e che quella sera avrei dormito ospite in una nuova casa, senza precisare bene di quale dimora si trattasse questa seconda volta.

Bentornata in Oman, avvolta dall' ammmore.

Rassicurata dal messaggio di benvenuto sul fatto di non potermi neanche fare una doccia o cambiarmi i vestiti, entravo serrando le ascelle nel gelido ufficio ed aspettavo il rientro del povero Carl, per scusarmi del disguido, di cui ovviamente non avevo colpa.

Carl merita una parentesi a se stante. Dovreste immaginarvi una specie di grande orso buono, tutto carino e da coccolare, che dice sempre di sì, non si lamenta mai, non è mai stanco, ed è anche incredibilmente incredibilmente bello.
Questo essere metafisico e sudafricano viveva con la famiglia della segretaria dell'ufficio, anch'essi sudafricani, e sarebbe stato il mio coinquilino nella famigerata utopica casa in cui sarei dovuta risiedere, e che quella sera avremmo visitato insieme. Si occupava di accompagnare i turisti nelle battute di pesca, che duravano parecchie ore: sfidava i pirati di mia zia così, impavido, in mare aperto, armato solo del suo scintillante sorriso a 32 denti, di due infradito di gomma e di un fucile subacqueo. E, non ultimo, ci portava in ufficio del delizioso pesce per pranzo, che faceva cucinare dallo chef del vicino resort a 5 stelle, il quale in cambio si teneva il resto del pescato.
Insomma, mi pare chiaro da come ne parlo, in quel marasma di disequilibri, Carl, con il suo invincibile sorriso, era il mio eroe. Lui galleggiava sopra agli sbalzi di umore, l'inaffidabilità e l'arroganza della fauna umana circostante, come una goccia d'olio sull'acqua, senza che la sua natura speciale ne venisse minimamente intaccata.

Quindi io sono nell'ufficio che aspetto Carl, appena tornata dalla Giordania ed insonne, e per passare il tempo, visto che come al solito non ho nulla da fare, preparo caffè per chiunque entri, per tenermi un minimo impegnata ed avere la scusa per alzarmi da quella sedia, che ormai aveva la forma del mio sedere ingrassato a suon di shawarma e sedentarietà. Indaffaratissima a preparare caffè, e sempre attentissima a tenere le ascelle ben serrate, chiacchiero con la segretaria e scopro che non mi danno mai nulla da fare nonostante le mie suppliche di rendermi utile, perchè MrC. gli ha raccontato che lavoravo da anni nel turismo (chi, io!?!?), e quindi credevano sapessi da sola come gestire il lavoro. Vabbè, passiamogliela.  Intanto tra un caffè e l'altro scopro anche il vero motivo per cui mi chiamarono urgentemente in Oman e per cui io in fin dei conti io ero lì in quel momento, nel loro gelido ufficio, con una sciarpa arrotolata attorno alla testa per proteggermi dall'aria condizionata, la muffa sotto alle ascelle, stanca, senza una casa, e con tutti i miei averi impacchettati da qualcun altro alle mie spalle: la segretaria doveva assentarsi da lì a poco per il matrimonio della figlia in Sudafrica, e loro avevano urgentissimo bisogno di una sostituta, individuata in me, scordandosi di dirmelo però. Ecco perchè io non ero ancora riuscita a salire su di una barca...perchè non era lì che in realtà sarei servita nel periodo successivo. Quindi niente delfini davanti a me, solo numeretti e la tastiera del pc, almeno per il mese a venire. E la mia incXzXura cresce, come la schiuma del nescafè che mescolo con sempre maggiore veemenza con un sorriso che piano piano si va trasformando in una paresi isterica.

Sempre più convinta quindi a non firmare il loro visto di lavoro ed andarmene, parlo con il buon Y., il proprietario della società, che in fondo mi stava pure molto simpatico, e gli dico che mi sarei fermata per aiutarli finchè non fosse rientrata M. dal Sudafrica, visto che ne avevano bisogno, ma poi me ne sarei andata. Alea iacta est!
In quello, si apre la porta ed entra Carl, avvolto dal solito un fascio di luce e coro di angeli, e la conversazione proseguì tra loro due.
Il pomeriggio corse veloce, complici forse anche i suffumigi alla caffeina, e la sera di quel giorno mi trasferii a dormire a casa della famiglia sudafricana, con Carl...dove vidi fare per cena le più terribili angherie ad una manciata di spaghetti indifesi.

Mi dispiace risollevare il luogo comune dell'italiano purista gastronomico, ma sì, incarno perfettamente quel tipo. Mi sento, in quanto italiana all'estero, che sia mio dovere civico nonchè vocazione innata, autoproclamarmi  paladina della difesa del cibo italiano deportato nel luogo in cui mi trovo, ovunque io sia.
Io sono sicura che, per esempio, quegli spaghetti si sono risvegliati disorientati nella dispensa di casa Mulder dopo essere stati sedati e rapiti dagli scaffali di una qualsiasi ConXd di, chessò, Montebelluna, da parte della Grande Distribuzione Orgnizzata. E posso immaginare il loro schock nel ritrovarsi attorniati da barattoli di sugo di fagioli in scatola e misteriosissima 'Alfredo sauce', presentati tra l'altro da etichette vittime di un marketing degno della post perestroika. E quegli spaghetti, nella tenebra della dispensa, chiamano i loro amici: la passata di pomororini rustica, il pesto genovese d.o.p, l'olio extravergine di oliva pugliese...ma nessuno risponde.  Allora ancora incerti e pieni di domande, vengono brutalmente prelevati da una mano straniera, che fa a pezzi la loro casetta di 'cellophane' e li separa, uno a uno, dagli amici più cari..e li butta così, in una gigantesca pentola di acqua fredda, dove, come coraggiosi esploratori bianchi del secolo scorso, attorniati dagli indigeni, vengono lasciati in ammollo mentre la temperatura aumenta, vivendo la tortura immeritata di una lenta cottura a morte. Impropria tra l'altro. Perchè, perchè?!
...e poi...e poi...non gigli sui loro feretri, non sugo di freschi pachino, nessuna bufalina immacolata sui loro corpi, no....la straniera, e profana, salsa di fagioli col ketchup.
Bene, appena seduti a tavola, la famiglia sudafricana fece una preghiera. Ecco io ho per lo meno apprezzato quell'atto di carità cristiana verso quella giovane sfortunata semola. Resto incerta se questo fosse davvero ciò che si siano detti, ma è così che mi piace ricordare i coraggiosi spaghetti e fargli onore.




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